Giovanni Di Stefano intervistato da L'Espresso


Mezzogiorno di fuoco



di Roberto Di Caro

Le truppe di Lombardo. I ribelli Pdl di Miccichè. Pure una sponda nel Pd. Il partito del Sud si prepara al debutto. Per sfidare l'esecutivo

Al Nord riuscì a Umberto Bossi in anni convulsi, coi partiti distratti prima dagli affari e poi da Tangentopoli. Al Sud riuscì all'autonomismo di Silvio Milazzo, Dc all'opposizione e governo siciliano con maggioranza dal Pci al Msi per un anno e mezzo fino al febbraio '60. «Sì, Milazzo fece a pezzi i partiti tradizionali. Che alla fine si vendicarono. Prima o poi lo faranno anche con me. Già stanno arrivando alla magistratura tonnellate di carta, delibere e quant'altro, del periodo in cui ero presidente alla Provincia di Catania: qualche fotocopiatore folle si sta dando un gran da fare», fa il sornione Raffaele Lombardo nel suo ufficio a Palazzo d'Orleans quando ormai è l'una di notte, con tre persone in attesa di udienza e le commesse che ospitali preparano caffé al ginseng. Come il presidente della Regione Siciliana e fondatore dell'Mpa, anche Bossi, ai tempi, parlava con i giornalisti a notte fonda. «Non siamo opposti alla Lega. Certo, se il loro federalismo è l'egoismo fiscale di Lombardia e Veneto che vogliono tenersi tutti i soldi, finiranno per spaccare l'Italia, che io voglio invece realmente unificata, come non è stata nei 150 anni dopo l'unità. Ma, come al Nord ha fatto la Lega, guadagnando la fiducia dei delusi, il Partito del Sud riuscirà a cambiare la politica del governo».

Realtà o chimera, strumento di riscatto o arma di ricatto, con questo partito in gestazione i conti si ritrovano già ora a doverli fare tutti. Nel Pdl, i "lealisti" di Schifani e Alfano contro i "ribelli" di Gianfranco Miccichè. Nell'Udc cacciata dal governo regionale, i cuffariani imbufaliti per la sforbiciata al loro sistema di potere nella sanità contro chi ricucirebbe in cambio di qualche poltrona. Nel Pd, i candidati alla segreteria regionale appoggiati (i maligni dicono "designati") da Roma contro il Giuseppe Lumìa alfiere di un Partito democratico siciliano del tutto autonomo e federato con quello nazionale: in nome di «una discontinuità assoluta con un partito burocratizzato, scontato, passivo, che ci ingabbia nelle sue scelte nazionali», di un autonomismo «non piagnone», di un'antimafia «con qualche celebrazione in meno ma che non fa sconti a nessuno, neanche dentro lo stesso Pd». Un bel terremoto, di quelli cui Lombardo sta abituando gli elettori. «Fa di testa sua, e questo ai siciliani piace, questione d'orgoglio. Le nostre rilevazioni lo danno in crescita », spiega Pietro Vento, direttore dell'Istituto Demopolis che ha effettuato l'indagine illustrata qui sotto. Il bacino elettorale c'è eccome, per un partito «che resti autonomo e dialoghi con le diverse parti a difesa degli interessi del territorio»: a cominciare dal 41per cento di elettori Pdl nel 2008 che un anno dopo si sono astenuti alle europee, 580 mila voti ai quali aggiungere gli sfiduciati e delusi Pd. Difficile che, come con disarmante sincerità ha dichiarato Berlusconi il giorno della cena romana con i ribelli al ristorante Capricci di Sicilia (pagata da Miccichè), tutto finisca nel teatrino di un'opera dei pupi in cui il paladino Gianfranco brandisce la spada e il buon re Silvio lo placa sbloccando finalmente i 4 miliardi dei fondi Fas spettanti alla Sicilia. Tempo un mese e saranno daccapo.

Messi sul piatto Banca del Sud, Piano Marshall e nuova Cassa per il Mezzogiorno, quando a settembre si dovrà discutere il "piano organico per il Sud", ammesso che i soldi arrivino, chi li gestirà, i siciliani o la "cabina di regìa" del ministro dell'Economia Giulio Tremonti? E come si regolerà il premier con la carica di coordinatore Pdl siciliano, promessa a pranzo ai lealisti, che la detengono con Giuseppe Castiglione, e a cena ai ribelli, che la rivendicano? S'inventerà un litigioso triumvirato, terzo il Domenico Nanìa co-coordinatore in rappresentanza dell'area ex An? Altra cena, altra pezza?

Nell'ambiguità dei giochi a soluzione aperta, «il Partito del Sud è rimandato a settembre, deve studiare ancora un po'», dice Giulia Adamo la preside (questo faceva prima di diventare per otto anni presidente della Provincia di Trapani), deputato all'Ars, l'Assemblea regionale, donna di punta dei ribelli di Miccichè. Azzarda che «la nostra temporanea coincidenza di obiettivi con Lombardo potrebbe diventare un'alleanza», e ce l'ha a morte con il gruppo Schifani- Alfano: «Contro Lombardo hanno sostenuto la vergognosa bugia secondo cui quei 4 miliardi la Sicilia li avrebbe usati per la spesa corrente anziché per investire in infrastrutture e sviluppo. E Alfano ha ignorato l'emendamento preparato da me e Pippo Fallica per destinare alla Sicilia i soldi sequestrati alla mafia. Se non cambia, è una scialiano come lui!». Rimandato a settembre? «Ma il Partito del Sud c'è già: siamo noi!», dice Eleonora Lo Curto, l'altra preside (lo era prima di fare un anno il parlamentare europeo, movimento Nuova Sicilia in prestito a Forza Italia), instancabile pasionaria come la definisce Lombardo, una dei tre siciliani nell'esecutivo nazionale Mpa. «Non abbiamo alcuna alleanza ideologica con Berlusconi», spiega: «L'intesa nasceva da un patto per rilanciare il Sud, e questo governo non è stato amico del Sud. Politicamente laici, siamo pronti ad allargare a centrodestra come a centrosinistra per il risanamento e il buon governo, come alcune convergenze locali già dimostrano ».

A dirla tutta, non è che c'è in giro tutto questo brulicare di sedi dell'Mpa zeppe di gente che dibatte i destini dell'isola e del Mezzogiorno... «Scherza?», replica Giovanni Di Stefano, segretario nazionale dei giovani Mpa, laurendo in Giurisprudenza, 25 anni e già unico rappresentante della Regione siciliana nella Consulta per il Mezzogiorno del Cnel: «Sui fondi Fas abbiamo montato gazebo nelle piazze di mezza Sicilia», slogan "Finemula con sta Fas-sa", cioè farsa, manifesto con la Banda Bassotti che si ruba i fondi, tipo la leghista gallina dalle uova d'oro spennata da Roma. «Gazebo ovunque anche a fine agosto, poi una scuola itinerante di formazione politica, per militanti, universitari e, naturalmente, giovani amministratori: che la gavetta a questo serve. Il nostro futuro in politica attiva lo immaginiamo nelle istituzioni». Va bene, l'Mpa c'è e crescerà. Quanto al Partito del Sud, la politica sarà pure diventata liquida come il lavoro e l'amore, ma un paio di punti fermi li dovranno pur mettere. Miccichè prima della cena romana aveva pronto il simbolo (Sud a caratteri cubitali e la scritta "è partito") e i colori (azzurrino e ciclamino, «quelli che vanno ora di moda a Parigi»). Miccichè dopo la cena spiega invece che «era uno strumento e non l'obiettivo, continuerò a parlarne e a usare il simbolo, penso a una Fondazione»: ci può stare da una lista elettorale a un centro studi sui Beati Paoli e la baronessa di Carini.

Forse Lombardo ha le idee più chiare? «Il Partito del Sud sta librandosi a mezz'aria. Ma sarebbe stata una nascita troppo precipitosa, come la gatta che fa i gattini ciechi. Le idee devono sedimentare». Ecco cos'ha in mente: «Forze già organizzate diano luogo a una costituente, si rediga un manifesto per il Sud, si aggreghino le persone, si susciti l'entusiasmo. Poi, se come credo attecchirà, si punti su una classe dirigente nuova, vergine, giovani intraprendenti che cominciano ora a cimentarsi negli enti locali, disposti a scendere in piazza». Siccome dovranno essere pronti per le amministrative di primavera 2010, e come esordio devono raggiungere «almeno il 5-6 per cento nazionale e il 10 nel Mezzogiorno», non c'è tanto da tergiversare. Giura Lombardo che non sarà lui a dire a Micciché "o dentro o fuori"; ma «Gianfranco nel giro di un mese una decisione la dovrà prendere, magari uscire dal Pdl, chissà». Turbolenta è anche l'area di Fabio Granata ex An e Dore Misuraca ex Fi, che annunciano la nascita di un gruppo autonomista nel Pdl: mimano l'Mpa per non caderci dentro. In attesa che gli altri arrivino («Noi siamo disponibili, siamo uno dei contraenti, io posso dare una mano, ma non aspiro a diventarne il leader»), Lombardo ha fatto un passo indietro nell'Mpa, affidando la gestione a un esecutivo di dieci persone, ma ha commissariato il partito in Puglia, Campania, Basilicata e Calabria: «Per sottrarlo al rischio di una involuzione padronale, coi leader locali a comandare a discrezione. Così si riaprono i giochi». Tattica Mao Zedong, scompaginare, sparare sul quartier generale: perché non giocarla in casa propria, se funziona così bene in casa d'altri? Su questo, dubbi non ce ne sono. Come Bossi costrinse tutte le forze politiche a rincorrere la Lega sulla strada sdrucciolevole del federalismo, così Lombardo ha riportato in auge un autonomismo siciliano e meridionalista che come un mulinello sta facendo girare in tondo e inghiottendo tutti gli altri. «Nel Pd considerano la Sicilia periferia politica, decidono in modo romanocentrico, mai visto niente del genere neppure nel Pci del centralismo democratico!», attacca Pino Apprendi, deputato regionale Pd. Alleanze col Partito del Sud? «Se ci fosse un programma, le intese si fanno per vincere ». Senza peli sulla lingua Bruno Marziano, anche lui all'Ars, storia Pci e Cgil, per due mandati presidente della Provincia di Siracusa: «Molti nel Pd sentono il canto delle sirene di Lombardo: la fuga potrebbe diventare irrefrenabile. Dopo la riforma della sanità col nostro appoggio, quelle di acqua e rifiuti e della formazione professionale destrutturerebbero il centrodestra, se gli riuscirà di attuarle. Si aprirebbe seriamente per noi la discussione sulla politica delle alleanze». Anche con Miccichè? E con il suo mentore Marcello Dell'Utri? Inequivoca la risposta: «In politica, meglio male accompagnati che soli».
(06 agosto 2009)
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